Nel blu dipinto di blu
“Se dipingete, chiudete gli occhi e cantate”: scrive Pablo Ruiz y Picasso, per gli amici, Pablo.
Nato a Malaga il 25 ottobre 1881, pare rivelare un precoce ma spiccato talento artistico: secondo la madre, le sue prime parole furono «piz, piz», abbreviazione di lápiz, che in spagnolo significa «matita». Inizia ben presto la sua formazione artistica dapprima sotto la guida del padre, Don José Ruiz y Blasco, pittore di modesta levatura, per poi frequentare corsi di disegno della Scuola di Belle Arti.
Dal 1901 ha inizio il cosiddetto “Periodo Blu”, che si protrae fino al 1904. Tale fase scaturisce in seguito alla morte suicida del suo migliore amico Carlos Casagemas, come afferma lo stesso maestro andaluso: « Quando mi resi conto che Casagemas era morto, incominciai a dipingere in blu ».
Picasso si affida dunque alla potenza espressiva e alla valenza psicologica del blu: colore freddo, bello e spietato allo stesso tempo, in tutte le sfumature e tonalità possibili ed (in)immaginabili. È proprio in questo modo che Picasso denuncia la decadenza del mondo intorno a sé, il crollo della propria terra sotto i propri piedi. Divengono protagonisti delle sue opere soggetti poveri ed emarginati: ciechi e girovaghi sono per lui continua fonte d’ispirazione , immergendosi in ogni angolo delle strade di Barcellona. In particolare, l’allegoria del cieco lo accompagna per tutta la vita.
È poetica malinconia quella che permea le sue opere, intingendole di inquietudine esistenziale. Bastava dunque avere degli occhi per saper vedere? era forse il buio la luce che più accecava?
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